mercoledì 27 gennaio 2010

Le Fave CMYK

Un giorno m’incontro con la Signorina Crubellier, che mi invita a pranzo. Quindi andiamo in libreria e ci sediamo.
- signorina crubelliè, sei sicura che ci fanno mangiare?
- ma certo! non hai visto che bei libri?

Infatti poco dopo arriva il cibo. Cibo vero: crema di fave con cicoria, insalata di finocchi (nella versione con arance) e mousse di ricotta con torroncino e pistacchio. Tutto buonissimo, soprattutto la crema di fave.
Volendo chiedere la ricetta, mi informo con la Signorina Crubellier sul grado di irascibilità dello chef.
- signorina crubelliè, secondo te lo chef s’incazza se gli chiedo la ricetta delle fave?
- ma quella ricetta è una stronzata! cercala su gugol.

Io l’ho cercata su Google, ma ho dovuto fare dei compromessi col mese di gennaio. L’ho anche cucinata, mica vi propino una roba che non ho testato: è venuta molto buona e senza retrogusto di carta patinata.

Ingredienti per 4 persone:
• 350 g di fave secche (senza buccia) • 1,5 kg di cicoria • 1 patata grande • olio extra vergine • sale • pepe • 2-3 fette di pane casereccio (meglio se del giorno prima)
Di cicoria ne serve tanta perché, se trovate dei fusti di mangrovia equatoriale come quella che ho trovato io, la dovete buttare quasi tutta. Se invece trovate della cicorietta tenera raccolta in un campo selvatico, ne basta la metà.

Procedimento:
Date una sciacquatina alle fave e lasciatele a bagno per (minimo) 6 ore.
Passate le 6 ore, tagliate la patata a dadini mettendoli, insieme alle fave, in un tegame di coccio protetto con uno spargifiamma. Se non avete il tegame di coccio usatene uno col fondo spesso.
Versate acqua fredda fino a coprire fave e patata e accendete il fuoco a fiamma alta. Quando l’acqua inizia a bollire salate e abbassate il fuoco al minimo.
La cottura deve proseguire per un’ora circa senza mescolare mai. Tenete il coperchio di sbieco sul tegame in modo da lasciar fuoruscire il vapore.
Mentre le fave cuociono pulite la cicoria e mettetela in una padella con un cicinino d’acqua e cuocetela a fuoco basso col coperchio. Quando è quasi cotta aggiungete un filo d’olio, un po’ di sale e scoprite la padella fino a ultimare la cottura. Potete anche bollirla, la cicoria, ma a me non piace la verdura bollita perché perde molto del suo sapore. Poi, se avete trovato un cicorione tosto come il mio, dovete fare di tutto per trattenere quel po’ di sapore che ha.
Dopo aver cotto la cicoria tagliate le fette di pane a dadini, metteteli in una teglia e ungeteli leggermente. Accendete il grill del forno e fateli tostare.
Quando le fave sono cotte a puntino (devono essere morbidissime, quasi sfatte) aggiungete tre-quattro cucchiai d’olio. Prendete un cucchiaio di legno e mescolate con forza spappolando le fave, oppure frullatele. Molto meglio frullarle se non avete intenzione di ridipingere la cucina.
Versate la crema nei piatti aggiungendo una manciata di crostini, un po’ di pepe e un filo d’olio. Su un piattino a lato mettete la cicoria.
Fate una forchettata di cicoria e immergetela nella crema, poi portatela alla bocca, masticate e deglutite. Ripetete fino all’esaurimento del cibo.

Questo piatto è molto buono e delicato. La dolcezza delle fave e l’amaro della cicoria si sposano perfettamente creando un contrasto davvero sorprendente.
La Signorina Crubellier, però, preferisce la versione brossurata a filo refe.

lunedì 25 gennaio 2010

L’Arrosto di Norimberga

Mia mamma ha un modo di spiegare le ricette che neanche Silvan riesce a ricavarne una pietanza gustosa. Quindi, se mi viene in mente una cosa che lei cucina bene e voglio farla anch’io, devo armarmi di un abat-jour da 200 watt e un torci-pollici (o, al limite, una Vergine di Norimberga). Perché mai e poi mai confesserà esaurientemente - e spontaneamente - uno dei suoi piatti forti.
Stavolta, prima di accompagnarla al pronto soccorso per farle steccare i pollici, sono riuscita a farmi spiegare come fa il suo mitico arrosto.

Cosa serve per 4 persone (e avanza pure)
• 1 kg di sottofiletto di vitello • Rosmarino • Olio extra vergine • 1 Dado (o 500-750 ml di brodo) • Aglio • Vino rosso
La carne. Questo è un elemento fondamentale: se comprate una carne malamenta, l’arrosto verrà una schifezza e nessuno avrà più voglia di mangiare robe cucinate da voi. Il che può essere cosa positiva se siete assediati da accattoni e mangiapane a tradimento. Quindi decidete voi: potete comprare un pezzo di bovino vecchio e incazzato, oppure un tenero sottofiletto di vitello leggermente venato di grasso.
Il dado (se decidete di usarlo invece di un bel brodino fatto da voi) badate che sia di buona qualità. Non usate quei dadi commerciali che dentro ci trovate - liofilizzato - pure il gatto che s’è perso il vicino l’estate scorsa.
Anche se, devo ammetterlo, mia nonna è arrivata a 93 anni a botte di dado Star. Fate voi, lo stomaco è vostro.

Procedimento:
In un tegame alto fate rosolare uno spicchio d’aglio schiacciato, adagiatevi la carne e aggiungete un paio di rametti di rosmarino. Dovete far cuocere per un’oretta a fuoco alto girando la carne spesso e annaffiando col brodo appena si asciuga troppo.
Per sapere se è cotta ci vuole maestria. Con un forchettone infilzate la carne: se esce un fiume di sangue fate cuocere un altro po’. Se esce un po’ di sanguino delicato la cottura è perfetta. Se non esce niente mettete l’acqua per la pasta e fate una bella spaghettata.
Finito di cuocere la carne togliete lo spicchione d’aglio, versate ancora un po’ di brodo e spruzzate col vino rosso. Fate sfumare e addensare il sugo e tenetelo in caldo.
Tagliate la carne sottile, disponete le fette su un vassoio e spargeteci sopra un po’ di sughetto.

La carne deve rimanere rosa e morbida. Se la fate cuocere troppo, comunque, non disperatevi: potete ricavarne dei bei sottobicchieri e regalarli ai vostri amici.
Sempre che ve ne rimanga qualcuno.

lunedì 18 gennaio 2010

Acoustic Pizza

Oggi ci facciamo una pizza. Neanche in mille anni verrà come quella di mia nonna, almeno così mi urla sempre zio (quello sordo che, ogni volta che faccio la pizza, si perde l’amplifon).
Per sicurezza non mettete la macchina in garage, perché se viene male potete correre in pizzeria e comprarne una decente. Ovviamente, se vi sgamano, sarà la vostra condanna sociale nella competitiva massoneria dei pizzaioli fai-da-te.

Ecco cosa serve per un paio di pizze (o 1 ripiena):
• 1/2 kg Farina - 25 g Lievito di birra - 300 ml Acqua tiepida - 1/2 Cucchiaio di sale - 1 Cucchiaino raso di zucchero - 4 Cucchiai d’olio extra vergine di oliva
• 1 Ciotolona - 1 Strofinaccio - 1 Coperta - 1 o 2 teglie - Mattarello


Innanzi tutto fate sciogliere il lievito di birra in un po’ d’acqua tiepida, aggiungete il sale, lo zucchero e l’olio e mescolate.
Nella ciotola mettete la farina, versateci in mezzo il brodaglione che avete appena fatto e, piano piano, il resto dell’acqua. Mescolate e impastate fino a ottenere una pallozza consistente.
Spolverate la ciotola con un po’ di farina, metteteci dentro la pasta, coprite con lo strofinaccio e avvolgete tutto con la coperta. Trovate uno spazio nell’armadio e riponeteci il vostro fagotto. Deve stare lì al caldo e al sicuro per 4-5 ore, in modo che la pasta possa lievitare.
Non andate a sbirciare ogni 10 minuti, ché la pasta è sensibile e s’incazza assai se la disturbate nel sonno.

Ora avete diverse possibilità di ammazzare il tempo per 5 ore:
1. Consultate l’agendina e date appuntamenti precisi e cadenzati a una mezza dozzina di ex amanti. Tanto non durano più di 10 minuti, altrimenti non sarebbero ex.
2. Se volete fare un po’ di moto all’aria aperta chiamate, invece, una mezza dozzina di amici e andate a fare lo scherzo dei citofoni (quello che citofonate e quando vi rispondono chi è? gridate in coro ‘sto cazzo! e poi scappate veloce).
3. Se decidete di rimanere in casa a fissare l’armadio, potreste avere la fortuna che qualcun altro nel vostro quartiere stia cucinando la pizza. Ve ne accorgete se vi gridano ‘sto cazzo! al citofono. In tal caso saltate in macchina e investite i due più lenti, così fate selezione.
Tornate a casa e rimettetevi davanti all’armadio.

Passato il giusto tempo di lievitazione, la pasta per la pizza è pronta. Ungete le teglie e stendete la pasta col mattarello a forma delle teglie.
Per il condimento date sfogo alla vostra fantasia. Sulla pizza (o dentro) potete metterci quello che vi pare: dalla classica margherita con mozzarella, pomodoro e basilico, a una farcitura di mozzarella e prosciutto cotto.
L’importante è aver fatto bene la pasta: se è abbastanza buona ci potete anche tritare l’apparecchio acustico di zio e nessuno avrà niente da dire. Tranne zio.

giovedì 14 gennaio 2010

Un Pollo chiamato Desiderio

Con mia nonna non si poteva parlare di sangue, a meno che non fosse in relazione con la morte.
Argomenti tabù erano: i cuori spezzati, i cuori palpitanti, le mestruazioni.
Il sangue, per lei, era troppo intimo, troppo sacro per renderlo argomento di conversazione.
Parlare di sangue e morte, invece, si poteva: ricordo polli decapitati scorazzare nel giardino. Gattini affogati prima che morissero di fame. Polli a cui avevo dato un nome e gattini che aspettavo per poterci giocare. Il mio cuore infranto non era incluso nel rituale.

Per mia nonna cucinare era un equilibrismo fra la vita e la morte. Lei non cucinava per la gola, ma per la sostanza. Infatti non sapeva cucinare, nel senso che non sapeva cucinare buono. Il sugo era sugo, doveva semplicemente accompagnare la pasta. Non aveva importanza se, invece di sposarla, ne era solo compagno di viaggio.
C’erano cinque cose, però, che sapeva fare con una maestria mai eguagliata da nessuno: la pizza, il pollo con le patate, il minestrone, le frittelle di fiori di zucca, gli gnocchi.
Io ci ho provato un sacco di volte a cucinarle, quelle cinque cose, senza mai riuscirci. Non come lei.
Oggi proverò a descrivere come faceva il pollo con le patate. Anzi, vi racconterò come lo faccio io quando provo a farlo come il suo.

Gli ingredienti:
1 Pollo ruspante a pezzi - 1 Cipolla grande - 800g di patate - Olio extra vergine di oliva - Rosmarino - Sale - Vino bianco - 1 Padella bella grande con coperchio.

Io sono di indole giocosa, ma questa ricetta richiede che una buona dose di lacrime si debbano versare. Dovete pelare e tagliare a fettine sottili-sottili una cipolla intera. Ma fatelo di nascosto, ché nessuno vi veda piangere.
Pulite bene il pollo, togliete i pezzi grossi di pelle e fiammeggiatelo per eliminare i residui di piume.
Tagliate le patate a spicchi piuttosto grandi. Io non so che qualità di patate usasse lei. Ora se ne vendono di tanti tipi: da bollire, da fare al forno, da farci il purea, da friggere. Lei le comprava al mercato: erano quelle nella rete gialla a strisce rosse e verdi. Non so il tipo. Io uso quelle a pasta gialla.
La padella deve aver visto cuocere decine e decine di polli, prima del vostro. La mia non è così: ho un robo di teflon che, quando lo lavo, ridiventa nuovo. Però ha il coperchio.

Mettete un po’ d’olio e le fettine di cipolla nella padella. Fatele appassire, aggiungete il rosmarino e le patate, annaffiate con un po’ di vino e mescolate. Poi mettete anche il pollo, salate il tutto e chiudete col coperchio. Fate cuocere per un’ora col fuoco basso, controllando e girando di tanto in tanto (se serve potete aggiungere un po’ d’acqua, poca alla volta però).
I tempi di cottura variano a seconda di quanto (e come) ha vissuto il vostro pollo.
Per polli come quelli di nonna - polli con un nome - la cottura deve essere lenta e gentile.
Quando vi sembra pronto guardate dentro il vostro pollo senza infastidirlo troppo.
Se vedete sangue c’è ancora vita.

lunedì 11 gennaio 2010

Tortino di Carciofi

Un piangente lettore mi scrive:
Zia Ciccio ti giuro,
se ingrasso ancora un chilo,

somiglio a un canguro.


Somigliare a un canguro può avere i suoi vantaggi. Per esempio potete entrare in casa senza fare le scale o prendere a calcinculo il vicino (quello che vi ha fatto la cacca sul pianerottolo) e scappare con tre balzi. Però immagino che assomigliare al simpatico marsupiale australiano non favorisca il vostro rapporto di coppia, soprattutto se non ne avete uno.
Avete diverse soluzioni:
1. Andare in palestra e continuare a mangiare come abbacchi a pasqua.
2. Andare in palestra e fare dieta.
3. Fare dieta senza palestra.
4. Mangiare e oziare “tanto che me ne frega, sto così bene da solo/a”.
5. Mangiare e oziare “tanto che me ne frega, peso 50 kg”.

Qualsiasi sia il vostro caso, cercherò di darvi qualche consiglio su come rendere la ricetta di oggi - il tortino di carciofi - un po’ più leggera.

Prima vi spiego la versione FAT.
Ingredienti:
Pasta sfoglia - 5 Carciofi - 1 Uovo - Latte - 100g di Scamorza - Parmigiano grattugiato - olio extra vergine - sale - aglio
In questo periodo i carciofi non sono granché, quindi li dovete pulire bene. Se li vedete proprio brutti prendetene 1 o 2 in più. Oppure, al posto dei carciofi, potete usare una verdura che vi piace (la verza o i broccoli, per esempio).

Procedimento:
Pulite bene i carciofi, tagliateli a fettine e sbollentateli per 6-7 minuti (scolateli quando sono ancora al dente). Fate soffriggere uno spicchio d’aglio e ripassate i carciofi in padella per un paio di minuti. Aggiungete un po’ di sale e lasciateli raffreddare.
Stendete la pasta sfoglia sulla teglia (ungendo e infarinando la teglia, oppure ricoprendola con la carta da forno. A me la carta da forno sta sulle palle, mò ve l’ho detto).
In una ciotola sbattete l’uovo con un cicinìn di latte, poi aggiungete una spolverata di parmigiano, la scamorza a cubetti e mescolate. Potete aggiungere anche i carciofi se si sono raffreddati. Se sono ancora caldi andate a finire il livello di Assassin’s Creed e poi tornate.
Stendete il contenuto della ciotola sulla pasta sfoglia, date un’altra spolverata di parmigiano e infornate per 40 minuti.

Versione SLIM
Per avete un tortino più leggero dovete ELIMINARE:
Pasta sfoglia - 1 Uovo - Latte - 100g di Scamorza - Parmigiano grattugiato - aglio

Procedimento:
Invitate a pranzo 4 persone: 2 fascisti e 2 comunisti.
Fate bollire i carciofi, conditeli con un filo d’olio e un po’ di sale e stendeteli in una teglia.
Prima di servire a tavola andate vicino ai vostri ospiti e, con tono neutro, dite: “certo che Berlusconi sta facendo delle cose mai viste prima”.
Quando vedete che il dibattito s’infiamma portate la teglia e dite a tutti che avete cucinato un tortino di carciofi.
Nessuno si accorgerà di niente.

giovedì 7 gennaio 2010

Le Alicette al Guinzaglio

Questa di oggi è una ricetta di mia sorella. Si chiama Ciccio anche lei. Cioè, anche io mi chiamo Ciccio, ché lei è più grande di me. Quando ci telefoniamo succedono cose tipo Pronto Ciccio ciao Ciccio sono Ciccio c’è Ciccio? vabè, cose tra sorelle.
Ciccio è una carabiniera. Entrare nella sua cucina è una delle cose più pericolose che esistano: se, come me, siete di animo chino, venite trattati come un Minipimer. Se sbagliate ad eseguire un comando il vostro destino è uno solo: la RIPARAZIONE.

Veniamo alla ricetta. Io la descrivo così come la realizza lei, se cambiate qualcosa è a vostro rischio e pericolo.

Ingredienti per 4 persone:
• 4-5 alici a porzione.
Senza specificare che devono essere freschissime.
• 500 g di fagiolini freschi.
• Olio per friggere - Olio extra vergine per condire - 2 Arance - Zenzero - Pinoli - Farina - Sale
Lo zenzero è quel robo che sembra una patata bitorzoluta e, quando lo vedete sul bancone, dite Uh, che strana ’sta patata. Lo prendete, leggete l’etichetta e lo ributtate sul bancone.
Stavolta mettetelo nel carrello.
• 1 Guinzaglio

Procedimento:
Prendete vostra sorella minore, legatela al tavolo col guinzaglio e fatele pulire i fagiolini, le alici e fatele sbucciare e affettare le arance.
Le alici devono essere decapitate e deliscate. Il guinzaglio deve essere abbastanza lungo da permettere a vostra sorella di raggiungere sia il lavandino che il tavolo (ma non la sedia).
Bollite i fagiolini senza farli spappolare troppo, scolateli e adagiateli su un vassoio. Conditeli con olio, zenzero (tritato fine), pinoli e sale.
Sul letto di fagiolini stendete uno strato di arance affettate.
Infarinate e friggete le alici molto velocemente. Mettetele sullo strato di arance e condite con un po’ di sale.
Slegate vostra sorella e fatele portare il vassoio a tavola.

Avere una sorella è un grande piacere, sempre che sia più piccola di voi.
Se avete una sorella più grande potete aspettare il momento in cui prendervi le vostre soddisfazioni. Tipo metterle una decina di grilli nel pannolone o incollarle la dentiera sul fondo del bicchiere.
Mica sarà giovane per sempre.

martedì 5 gennaio 2010

Lo Strudel (ovvero: il Mappazzone di zia Ciccio)

Anni fa c’era una gelateria fantastica nella mia città. Il gelataio era un omone grande, taciturno e dal sarcasmo fulminante. Un genio, sia nel preparare gelati che nell’intrattenere i clienti.
Una volta ero lì con un amico:

amico: Vorrei un Banana Split senza panna.
gelataio: No.
a: Non ce l’ha?
g: Io non ho i gelati. Io li faccio.
a: E non mi può fare un Banana Split senza panna?
g: No. Se vuole posso portarle un piatto con una banana tagliata a metà e del gelato.
a: E io che ho detto?
g: Lei ha detto una bestemmia.
Dopo un po’ di tempo la gelateria ha chiuso. Si racconta che una tizia dall’aspetto estremamente nervoso gli abbia chiesto il gusto “vaniglia light”.

Ma veniamo a noi. Oggi vorrei postare una ricetta che, partita dallo strudel, è diventata qualcosa che poco, ormai, ha a che vedere con la ricetta originale. Non me ne vogliano i puristi del famoso dolce austro-ungarico.
Però viene buono, quindi chi se ne frega.

Gli ingredienti:
• Pasta sfoglia.
Per la pasta sfoglia avete diverse opzioni:
1. Cercate una Delorean su ebay, tornate a 24 ore prima e fate la vostra pasta. Il procedimento per fare la pasta sfoglia è simile a quello per fare la katana, però ci vuole più tempo e molta più pazienza. Se avete visto Kill Bill di sicuro avrete notato come stava incazzato Hattori Hanzo: è perché prima faceva il pasticciere.
2. Telefonate a un vostro amico permaloso e sfottetelo a morte che lui non sa fare la pasta sfoglia. A volte funziona. Se non funziona avete l’opzione 3.
3. Andate al supermercato e comprate un bel rotolo di pasta già pronto. Poi, però, dite che l’avete fatta voi.
• 2 Mele renette o golden - Marmellata di arance amare - Uvetta - Mandorle sminuzzate - Cannella - Zucchero a velo - Farina - Pangrattato.
Se vi piace potete aggiungere anche un po’ di brandy. Io non lo metto.
• Mattarello - Stampo per plumcake.
A casa ho 2 stampi. Non so perché: non ho mai fatto un plumcake in vita mia. Se non ce l’avete va bene una teglia normale, però domani andatelo a comprare, vi può sempre servire.
Dico io, come si fa a non avere una teglia per plumcake a casa? Cos’e’ pazz’!

Procedimento:
Mettete a bagno una manciata di uvetta in acqua tiepida e accendete il forno a 180°.
Spargete un po’ di farina sul tavolo, tagliate un pezzo di sfoglia e stendetelo col mattarello fino a farlo diventare molto sottile. Dovete ottenere un quadrato un po’ più largo dello stampo per plumcake.
Stesa la sfoglia, spolveratela col pangrattato cercando di stare lontano dai bordi. Il pangrattato serve ad assorbire l’umido che tireranno fuori le mele durante la cottura.
In una ciotola mescolate: le mele sbucciate e tagliate a pezzetti, 2-3 cucchiai di marmellata, una spolveratina di cannella, le mandorle sminuzzate, l’uvetta e 1 cucchiaio di brandy (se avete deciso di aggiungerlo). Imburrate e infarinate lo stampo.
Stendete il suddetto pastone sulla sfoglia lasciando liberi i bordi. Arrotolate facendo finta di non avere le dita che se no ci fate i buchi, rimboccate i laterali e infilate nello stampo. Fate dei buchini con la forchetta e infornate per 30-40 minuti.
Controllate il colore della pasta, quando è bella colorata potete togliere dal forno e spolverare con lo zucchero a velo.
Lo strudel caldo è ottimo con una pallina di gelato alla vaniglia.
Vaniglia light.

lunedì 4 gennaio 2010

Riso Pilaf

Questa è una pietanza che io ho (ri)scoperto ultimamente. Quando ero piccola mia mamma lo faceva, a volte, per evitare risse violente quando dimenticava di comprare il pane. Noi ci incazzavamo lo stesso, però mia mamma portava il riso come attenuante. Quando lo faccio adesso, a sfregio, lo mangio col pane.
Può servire da accompagnamento per qualsiasi secondo o contorno. Inoltre, offrire il riso Pilaf vi darà un tono sofisticato e tutti vi saluteranno con rispetto incontrandovi per strada.

Gli ingredienti:
Vi elenco le dosi per 100 g di riso, che basta per 2 persone. Potete farne anche di più e consevarlo, perché la caratteristica di questo riso è che, raffreddandosi, non diventa una mappazza monolitica. Quindi si può conservarlo in frigo e consumarlo il giorno dopo. Non esagerate però, perché la terza volta di seguito che presentate il riso in tavola, parte un vaffanculo che lo capta anche Telecapodistria.

• 100 g di riso
E’ preferibile il riso basmati, a chicco lungo, ma va bene anche qualsiasi altro tipo.
• Olio extra vergine di oliva
• 220 ml di brodo vegetale

Se usate il dado non ditelo a Zia Ciccio, che è permalosa assai.
• 1 pentola con coperchio che possa andare in forno
Se usate una pentola coi manici di plastica il riso acquisterà un retrogusto spiccatamente sintetico-bruciaticcio. Son gusti, io non lo preferisco.

Preparazione:
Il procedimento è molto semplice. Accendete il forno a 180° e aspettate che arrivi a temperatura.
Rosolate il riso nella pentola con 1 cucchiaio d’olio. Dopo un minutino scarso aggiungete il brodo bollente e spostate tutti i chicchi di riso sotto il livello del brodo. Coprite e infornate.
Qualsiasi tipo di riso sia e qualsiasi sia il suo tempo di cottura, voi lasciatelo nel forno per 20 minuti esatti.

Come vi dicevo, è una pietanza facile e molto versatile.
Per esempio, se vi svegliate di umore giocoso, potete fare questo: fate raffreddare, preparate delle polpettine e sistematele a piramide su un piatto piano. Andate in balcone, nascondetevi dietro una pianta e bombardate i passanti. Esaurite velocemente le munizioni e rientrate in casa. Non rispondete al citofono.
Se si avvicina l’ora di cena preparate subito dell’altro riso e poi mangiatelo.

sabato 2 gennaio 2010

Linguine all'Astice

Mi scrive un ragazzo:
Cara Zia Ciccio,
tu che sai tutto, per trombare come un riccio, devo a forza usmar di strutto?

Molto bene, caro amico, mi fai una domanda che, seppur prosaica nonostante la rima, calza a pennello per la ricetta di oggi.
Il grande Casanova raccontava che le sue amanti s’ingelosivano come gatte se si accorgevano che lui aveva cucinato per un’altra donna, molto più che se scoprivano che ci era andato a letto.
Cucinare per una donna è un atto d’amore esclusivo e assoluto. Porta con se’ desiderio di conservazione e richiede devozione, sia per la donna che per il cibo.
Questa di oggi è una ricetta piuttosto costosa, vedi tu se ne vale la pena.

Ingredienti:

• 1 Astice
L’astice, di solito, ti viene venduto vivo. Io lo faccio giustiziare dal pescivendolo perché sono persona emotiva.
• 160 g di Linguine
Non mettere più pasta perché dopo cena, se vi appesantite, finisce che vi mettete sul divano a guardare i Cesaroni.
• Aglio - Olio extra vergine di oliva - Peperoncino - Vino bianco - Pomodori ciliegini - Prezzemolo
Se i pomodorini sono freschi è meglio. Ma, come mi faceva notare un simpatico commentatore, se non è periodo è meglio usare quelli in scatola.

Preparazione:

Questa è la parte fondamentale del corteggiamento perché, se lei ti aiuta, si crea una situazione di intimità da subito. Non fare, però, che la scambi per tua mamma e ti vai a guardare i gol mentre lei cucina. Non ti devo spiegare quanto s’incazzerà la fanciulla, vero?
Quando apparecchi metti a tavola uno schiaccianoci per rompere le chele. Mangiare con le mani fa parte del gioco erotico, ma non esagerare con le impiastricciature e, soprattutto, dopo mangiato vatti a lavare le mani, altrimenti la tua ospite tornerà a casa puzzando come Capitan Findus.
Ora passiamo ai fatti.
Metti a bollire l’acqua per la pasta aggiungendo una manciatina di sale appena bolle. Prendi l’astice e, dopo averlo sciacquato, dividilo a metà per il lungo.
Fai soffriggere 1 spicchio d’aglio schiacciato col manico del coltello. Aggiungi il peperoncino, 5-6 pomodorini (se sono freschi tagliali a metà) e un po’ di vino bianco. Sfumato il vino, appoggia le due metà dell’astice con la corazza rivolta verso l’alto e copri mettendo il fuoco al minimo. Fai cuocere per meno di 10 minuti e poi togli l’aglio.
Trita il prezzemolo. Scola la pasta al dente, metti da parte l’astice e finisci di cuocere le linguine nel sughetto. Se vedi che è asciutto aggiungi un po’ d’acqua di cottura della pasta.
Dividi in due porzioni nei piatti, mettendo in cima le metà degli astici, spolvera col prezzemolo e vualà.

Poichè è un piatto molto saporito, a me piace accompagnarlo con un vino rosso leggero. Però, se vuoi fare lo sborone, puoi annaffiare la tua cena con un Veuve Clicquot. Non dire “figurati se si sente la differenza: compro un bel Gancia, ho visto che è in offerta”.
E’ la stessa differenza che corre tra assaporare e ingoiare.
Tra fare l’amore con la tua bella e passare la serata su youporn.

venerdì 1 gennaio 2010

Spaghetti alle Vongole

Per preparare gli spaghetti alle vongole bisogna osservare delle regole che, se le ignorate, fate la figura di quelli che non sanno cucinare.
Innanzi tutto usate le linguine, le bavette o al limite i vermicelli. “Allora perché la ricetta non si chiama bavette alle vongole?” mi chiederete. Semplice: perché, se uno cerca la ricetta con google, mica scrive “bavette alle vongole”.

Gli ingredienti per 4 persone:

• 1 kg di vongole.
Le vongole devono essere freschissime e già spurgate. Se non vi fidate del pescivendolo oppure vi hanno detto che è una merdaccia, le spurgate voi lasciandole in acqua leggermente salata per 3-4 ore.
Potete usare anche i lupini, che sono più buoni ed economici, ma brutti a vedersi.
“E allora perché la ricetta non si chiama bavette ai lupini?”. Uè, ma state qua per cucinare o per rompere i coglioni?
• 320 g di spaghetti (o linguine, vermicelli ecc.)
Non mettete troppa pasta: se vi vengono bene lascerete a tutti la voglia di averne ancora e farete una gran bella figura. Se invece vi vengono male avranno pietà di voi perché voi ne avete avuta di loro.
• Aglio, olio, prezzemolo, peperoncino, vino bianco.

Mettete le vongole (spurgate e sciacquate) in una padellona abbastanza grande da poterle contenere quando saranno aperte. Accendete il fuoco a fiamma bassa e fatele aprire, poi toglietele e filtrate l’acqua che è rimasta nella padella. Se qualche vongola rimane chiusa buttatela. A seconda di quante vongole rimangono chiuse saprete quanto è stronzo il vostro pescivendolo. Per filtrare usate un foglio di carta-cucina, che la sabbia è bastarda.
Intanto fate bollire l’acqua per la pasta aggiungendo poco sale.
Ora sgusciate tre quarti delle vongole. Siccome è una rottura fare ’sto lavoro, prendete uno dei commensali e fatelo fare a lui o lei promettendo favori sessuali. Più tardi deciderete se mantenere o no la promessa, tanto se trovate una buona scusa potete rigiocarvi lo stratagemma tutte le volte che volete.
Sciacquate e asciugate la padella che avete usato prima, che se no si fa un casino in cucina. Se siete uomini potete usare un’altra padella, tanto si sa che, quando voi maschi finite di spignattare, la cucina sembra Ground Zero il 12 settembre.
Fate soffriggere 2 spicchi d’aglio schiacciati col manico di un coltello. Aggiungete il peperoncino, un po’ di vino bianco e fate sfumare. Se non volete rischiare di mangiare un pezzone d’aglio toglietelo, altrimenti può essere una buona scusa per evitare lo sgusciatore di vongole.
Versate le vongole e coprite regolando il fuoco al minimo. Girate un paio di volte agitando la padella (se siete impediti come me tenete il coperchio sulla padella mentre fate quest’operazione).
Prima di scolare la pasta tritate il prezzemolo lasciando 4 ciuffetti integri.
Scolate la pasta al dente e versatela nel padellone aggiungendo l’acqua delle vongole che avete filtrato prima.
Fate mantecare bene ultimando la cottura della pasta. Se vedete che risulta troppo asciutto potete aggiungere un po’ d’acqua della pasta.
Versate nei piatti e spolverate col prezzemolo avendo cura di mettere in cima 2-3 vongole col guscio e i rametti di prezzemolo interi, perché anche l’occhio vuole la sua parte. Inoltre se non vengono buoni gli altri diranno “oh, facevano schifo però erano bellissimi”.

Comunque, se vengono buoni potete farmi pure pubblicità. Se vengono male fatevi i cazzi vostri.
Questa l’ho rubata a Benigni, funziona sempre.